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ACCADEMIA DEI LINCEI 6 DICEMBRE 1988
“Celebrazione del quarantennale della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo”
“Orazione del Prof. Giovanni SPADOLINI, Presidente del Senato della Repubblica, alla presenza del Capo dello Stato”
Siamo qui riuniti oggi per celebrare un evento verso il quale molte generazioni continuano a guardare con immutata speranza: la stessa che quarant'anni fa si concretizzò nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, un atto solenne con cui per la prima volta si dava sanzione universale agli ideali di pace e di umanità.
Era l'alba incerta di un mondo ancora sconvolto dalla lunga notte dl orrori e di devastazioni, dalla tragedia di un conflitto mondiale che aveva travolto ogni illusione, fino al punto di costituire una minaccia mortale contro le ultime speranze di libertà e di democrazia.
Nella proclamazione solenne del 10 dicembre 1948 si concretizzava per la prima volta quel sogno che aveva alimentato l'azione delle coscienze più alte impegnate, subito dopo il trattato di Versailles, nella nascita della Società delle Nazioni. Anche allora, sia pure fra difficoltà e reticenze, sconosciute o superate dalle Nazioni Unite, il progetto era lo stesso: assicurare una pace durevole sulla base dei meccanismi di amichevole composizione delle controversie internazionali. La via scelta fu un atto di coraggio e una sfida aperta alla statolatria e ai nazionalismi di ogni specie: con le procedure di sanzione collettiva per la prima volta la Società delle Nazioni riuscì a scalfire la corazza degli imperi indicando nella libertà e nella dignità dell'uomo valori nuovi e superiori.
Sappiamo come finì quel sogno. Un fallimento da cui avrebbero tratto alimento le spinte oscure e irrazionali che si agitavano in alcuni angoli del Vecchio Continente.
Il mondo e le classi di governo nei vari paesi si avviarono ben presto a consumare l'immane tragedia di una guerra che avrebbe piegato un'intera generazione alla sofferenza e al dolore: una tragedia consegnata per sempre alle nostre coscienze sotto il peso di un olocausto sempre vivo.
Dal sogno della Società delle Nazioni alla realtà delle Nazioni Unite, dalla speranza di una pace durevole, sempre compromessa e minacciata, alla possibilità concreta e reale di trovare composizioni amichevoli alle tensioni e ai conflitti fra Stati: è in questo mutamento di prospettive che noi possiamo affermare, quarant'anni dopo, l'intatta validità della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo.
In quell'atto di fede nell'umanità si riconosce ogni spirito autenticamente libero: a quell'evento si richiama ogni coscienza democratica per riconoscere negli ideali e nei principi delle Nazioni Unite i valori permanenti cui ispirare l'azione degli stati e gli interessi delle Nazioni: valori universalmente riconosciuti, ma non altrettanto accettati nella realtà internazionale.
Ma nulla scaturisce dal caso. E se gli ideali di libertà e di pace appartengono a un grande numero di uomini in ciò dobbiamo orgogliosamente riconoscere l'affermazione di quei principi e di quei valori che hanno costantemente alimentato la storia della civiltà.
Dalla "Magna Charta", primo esempio che si ricordi nel mondo occidentale di sanzione giuridica ai limiti del potere regale, fino alla Dichiarazione dei diritti dell'Uomo del maggio 1793, la storia europea incarna fino ad oggi nel mondo l'eterno conflitto fra la libertà dell'individuo e le necessità dello Stato. Un conflitto irriducibile, ma intorno al quale si sono andate sviluppando quelle forme di civiltà giuridica e di progresso materiale diventati punto a riferimento e modello di ispirazione per altri paesi e altre civiltà.
Proprio per questo la tutela della dignità umana incarna al più alto livello gli ideali di pace e di libertà: come tale essa costituisce un valore permanente che accomuna gli uomini in un idem sentire, al di là di ogni divisione ideologica, della differenza di fede, di razza, a religione.
In essa noi riconosciamo la lotta mai conclusa e mai definitiva per l'affermazione di quegli ideali e di quei valori che la nostra civiltà incarna nel modello della democrazia. Per questo supremo traguardo intere generazioni hanno lottato, fra rinunce e sacrifici che sono oggi parte essenziale del patrimonio morale e spirituale del nostro paese.
"La nostra costituzione - scrisse Pericle -non calca la orma dileggi straniere. Noi piuttosto siamo d'esempio agli altri senza imitarli. Il suo nome è democrazia, perché affidiamo la città non a una oligarchia, ma a una più vasta cerchia di cittadini; ma in realtà le sue leggi danno a tutti indistintamente i medesimi diritti nella vita privata; e per quanto riguarda gli onori ognuno viene prescelto secondo la fama che gode, non per l'appartenere all'uno o all'altro partito a preferenza del valore. Né avviene che la povertà offuschi il prestigio e arresti la carriera di chi può rendere buoni servigi alla città. Senza alcuna costrizione nella vita privata, nei rapporti politici non trasgrediamo la legge soprattutto per reverenza ad essa ubbidendo ai magistrati in carica e alle diverse leggi, specialmente a quante proteggono gli offesi e a quante, senza essere scritte, recano come sanzione universale il disonore".
Le parole del grande ateniese evocano un modello di democrazia che rimane, nella sua unicità fonte di ispirazione e punto di riferimento per quanti, uomini di oggi, anelano alla realizzazione di un ideale alto e severo in cui l'ordinamento del potere sia temperato nel rispetto dei diritti dell'individuo.
Individuo e società, individuo e Stato: i diritti dell'Uomo vivono e si affermano in questo difficile equilibrio fra le esigenze superiori del-l'organizzazione statale e le esigenze insopprimibili dell'individuo.
"L'illecito dispiegamento di potere -ha scritto Ernst Junger- ci sembra cominciare là dove esso cresce smisuratamente a spese delle libertà. Sappiamo che il difendersi e l'armarsi comportano inevitabilmente delle rinunce: la libertà deve fare i conti con la necessità. Tuttavia si tratta sempre di un patto. Quando, titanicamente, si va oltre la necessità, l'uomo diviene inevitabilmente un granello di sabbia, nelle masse sterminate, mobili tate da una potenza meccanica"; e nella rottura di questo equilibrio noi riconosciamo la fine della libertà e della democrazia, la vittoria delle forze irrazionali e oscure cui si oppone da sempre la forza dello spirito e della ragione.
Non a caso nel solco di una tradizione superiore di civiltà e di tolleranza che l'Europa del XVIII secolo, l'Europe raisonnable evocata da Voltaire, ha dato per la prima volta sanzione giuridica a quei diritti umani da allora in poi riconosciuti come "inalienabili".
E' in questa stessa Europa che si riassume il sentimento di una legge superiore al potere, di custodi della legge svincolati dalla sudditanza ai forti. Quello stesso spirito è pervenuto, intatto, all'Italia repubblicana e democratica, integralmente recepito nella Costituzione di un paese che ha accettato di sottoporre i suoi stessi giudicati, una volta senza appello o rimedio nell'ordine interno, ad una giustizia superiore, quella che da Strasburgo enuncia le basi comuni di un diritto pubblico europeo che è quello dei diritti umani.
Ed è la stessa Europa, fattore di equilibrio e di moderazione in un quadro di relazione internazionali solcato da grandi mutamenti che ha indicato suggellando l'Atto finale di Helsinki, per la prima volta dopo la Dichiarazione del 1948, valori universali di libertà e di democrazia si sono incarnate in un atto politico siglato da 35, accomunati al dì là di ogni steccato ideologico.
Con l'accordo raggiunto tredici anni fa nella capitale finlandese, è stato avviato quel complesso meccanismo diplomatico e politico i cui effetti non potranno tardare a manifestarsi: nell'interesse superiore dei diritti umani, che dopo di allora costituiscono stabilmente la "quarta dimensione" della politica internazionale, la stregua valutazione della condotta dei governi, il pegno della sicurezza comune.
Mai come in questo momento le relazioni fra Stati conoscono il favore delle circostanze. In un mondo in cui tutto è destinato a mutare, incombe sulla classe politica e su ogni governo il dovere di non trascurare nessuna occasione capace di accelerare il processo della distensione e della pace.
E' da questa consapevolezza che occorre muovere per allargare gli orizzonti e rafforzare il nostro impegno per i diritti umani: nella direzione tanto faticosamente tracciata a Helsinki e perseguita fino ai nostri giorni sempre preservando lo spirito dell'Atto finale.
Cioè di quello stesso documento che reca in calce la firma di Aldo Moro, strenuo combattente per i diritti e la pace. Egli ha testimoniato per questi ideali nel modo più alto, e nella più tragica delle circostanze. Che il suo sacrificio sia di nuovo, ora e sempre, la fonte di un rinnovato impegno di tutti noi, della Repubblica, Signor Presidente, a dare alle nuove tavole internazionali dei diritti umani ed alla nostra stessa Costituzione che li afferma inviolabili, sostanza di norme e concretezza di vita collettiva comune.
La distensione non è più una speranza degli uomini, sta diventando realtà. Alla luce dell'esperienza, e quale diretta conseguenza delle necessarie misure di difesa adottate dall'Occidente al termine degli anni settanta, quando lo squilibrio delle forze nucleari era tale da aprire il varco all'avventura e alla guerra. Ristabilite le condizioni del dialogo, con uno sforzo di cui l'Europa occidentale dovrà sempre vantarsi, e nell'ambito dell'Europa occidentale l'Italia che ad esso recò, Signor Presidente, il contributo della sua determinazione e del suo coraggio.
Oggi abbiamo imboccato la via del disgelo che dischiude il cuore degli uomini alla speranza di aver vinto una volta per sempre la prospettiva dell'olocausto nucleare. Oggi ci muoviamo sulla via di una riduzione bilanciata e controllata anche delle armi convenzionali, qui in questa Europa, dove si fronteggiano eserciti che non corrispondono più alle paure e ai sospetti reciproci.
Pochi giorni fa, a Varsavia, un'Assemblea dei presidenti dei Parlamenti delle due, anzi delle tre Europe, l'Europa atlantica, l'Europa neutrale e l'Europa orientale, ha trovato accenti comuni proprio nelle rivendicazione dei diritti umani, in un paese che tante sofferenze e tante contraddizioni ha conosciuto nel suo nome. E alla loro difesa, e alla loro costante applicazione nella realtà interna desti stati si è richiamato l'incontro che io stesso ho avuto a Danzica con il responsabile del movimento di "Solidarnosc", un'opposizione che sta sempre di più entrando nel contatto reale col governo del suo paese, Lech Walesa.
Europa, questa parola misteriosa e indecifrata, torna a valere nel cuore degli uomini come simbolo di un dialogo, di una nuova tolleranza, di una nuova fraternità. Il polacco si sente europeo quanto il francese; l'ungherese quanto lo svedese. Non c'è nessuna volontà di violare i patti di Yalta, su cui riposano la pace e l'equilibrio mondiale. C'è la consapevolezza che le frontiere politiche e militari non corrispondono alle frontiere della coscienza, più vaste e più sicure delle prime. E tutti avvertono la necessità di dare ai diritti umani quell'ampiezza e quell'umanità di riconoscimenti che rendano eccezionale la loro lesione, normale il loro rispetto.
Battaglia per i diritti umani vuole dire anche battaglia contro la violenza del terrorismo e della pirateria aerea. E proprio in questo campo dobbiamo segnalare, fra i motivi di speranza di questi anni tormentosi che siamo stati chiamati a vivere, quello che è avvenuto in questi giorni fra Mosca e Tel Aviv, nell'area della lotta contro una delle forme mostruose del terrorismo moderno cioè la pirateria aerea.
Assicurando il pieno appoggio all'Unione sovietica, al di là dei rapporti diplomatici fra le due capitali (ridotte all'ombra di un vincolo consolare) Israele si è comportata secondo quelle regole del nuove patto antiterrorismo che da vari anni noi abbiamo invocato, e che per primi invocammo proprio a Gerusalemme nel gennaio 1986. Regole che presuppongono una solidarietà di tutti i governi e di tutti i regimi, al di là del sistema di alleanze e del sistema sociale.
Si tratta in ogni caso del più grande problema che si pone al termine del nostro secolo, accanto a quello della difesa dei diritti umani in tutte le terre in cui continua ad essere minacciata: realizzare un patto mondiale contro il terrorismo e contro la violenza, l'aggressione, la pirateria aerea e navale di ogni forma. Base di un nuovo diritto internazionale, di un nuovo ius gentium senza il quale la pace mondiale non sarà mai garantita.
In questo momento, la nostra lotta di tanti anni, la nostra battaglia contro il terrorismo e contro l'oppressione si riassumono in un nome, nel nome di uno dei firmatari dell'Atto finale di Helinki. Aldo Moro, strenuo combattente per i diritti e per la pace. Egli ha testimoniato per questi ideali con la vita stessa. Di fronte alla barbarie terroristica che rappresenta una delle forme di fuga dalla ragione del nostro tempo.
Che il suo sacrificio sia di nuovo, ora e sempre, la fonte del rinnovato impegno di tutti noi, Signor Presidente della Repubblica, nella lotta per la giustizia, la libertà e la fraternità: un rinnovato impegno a dare nuove tavole internazionali dei diritti umani e alla nostra stessa Costituzione che li afferma inviolabili, sostanza di norme e concretezza di vita collettiva comune.
“Celebrazione del quarantennale della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo”
“Orazione del Prof. Giovanni SPADOLINI, Presidente del Senato della Repubblica, alla presenza del Capo dello Stato”
Siamo qui riuniti oggi per celebrare un evento verso il quale molte generazioni continuano a guardare con immutata speranza: la stessa che quarant'anni fa si concretizzò nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, un atto solenne con cui per la prima volta si dava sanzione universale agli ideali di pace e di umanità.
Era l'alba incerta di un mondo ancora sconvolto dalla lunga notte dl orrori e di devastazioni, dalla tragedia di un conflitto mondiale che aveva travolto ogni illusione, fino al punto di costituire una minaccia mortale contro le ultime speranze di libertà e di democrazia.
Nella proclamazione solenne del 10 dicembre 1948 si concretizzava per la prima volta quel sogno che aveva alimentato l'azione delle coscienze più alte impegnate, subito dopo il trattato di Versailles, nella nascita della Società delle Nazioni. Anche allora, sia pure fra difficoltà e reticenze, sconosciute o superate dalle Nazioni Unite, il progetto era lo stesso: assicurare una pace durevole sulla base dei meccanismi di amichevole composizione delle controversie internazionali. La via scelta fu un atto di coraggio e una sfida aperta alla statolatria e ai nazionalismi di ogni specie: con le procedure di sanzione collettiva per la prima volta la Società delle Nazioni riuscì a scalfire la corazza degli imperi indicando nella libertà e nella dignità dell'uomo valori nuovi e superiori.
Sappiamo come finì quel sogno. Un fallimento da cui avrebbero tratto alimento le spinte oscure e irrazionali che si agitavano in alcuni angoli del Vecchio Continente.
Il mondo e le classi di governo nei vari paesi si avviarono ben presto a consumare l'immane tragedia di una guerra che avrebbe piegato un'intera generazione alla sofferenza e al dolore: una tragedia consegnata per sempre alle nostre coscienze sotto il peso di un olocausto sempre vivo.
Dal sogno della Società delle Nazioni alla realtà delle Nazioni Unite, dalla speranza di una pace durevole, sempre compromessa e minacciata, alla possibilità concreta e reale di trovare composizioni amichevoli alle tensioni e ai conflitti fra Stati: è in questo mutamento di prospettive che noi possiamo affermare, quarant'anni dopo, l'intatta validità della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo.
In quell'atto di fede nell'umanità si riconosce ogni spirito autenticamente libero: a quell'evento si richiama ogni coscienza democratica per riconoscere negli ideali e nei principi delle Nazioni Unite i valori permanenti cui ispirare l'azione degli stati e gli interessi delle Nazioni: valori universalmente riconosciuti, ma non altrettanto accettati nella realtà internazionale.
Ma nulla scaturisce dal caso. E se gli ideali di libertà e di pace appartengono a un grande numero di uomini in ciò dobbiamo orgogliosamente riconoscere l'affermazione di quei principi e di quei valori che hanno costantemente alimentato la storia della civiltà.
Dalla "Magna Charta", primo esempio che si ricordi nel mondo occidentale di sanzione giuridica ai limiti del potere regale, fino alla Dichiarazione dei diritti dell'Uomo del maggio 1793, la storia europea incarna fino ad oggi nel mondo l'eterno conflitto fra la libertà dell'individuo e le necessità dello Stato. Un conflitto irriducibile, ma intorno al quale si sono andate sviluppando quelle forme di civiltà giuridica e di progresso materiale diventati punto a riferimento e modello di ispirazione per altri paesi e altre civiltà.
Proprio per questo la tutela della dignità umana incarna al più alto livello gli ideali di pace e di libertà: come tale essa costituisce un valore permanente che accomuna gli uomini in un idem sentire, al di là di ogni divisione ideologica, della differenza di fede, di razza, a religione.
In essa noi riconosciamo la lotta mai conclusa e mai definitiva per l'affermazione di quegli ideali e di quei valori che la nostra civiltà incarna nel modello della democrazia. Per questo supremo traguardo intere generazioni hanno lottato, fra rinunce e sacrifici che sono oggi parte essenziale del patrimonio morale e spirituale del nostro paese.
"La nostra costituzione - scrisse Pericle -non calca la orma dileggi straniere. Noi piuttosto siamo d'esempio agli altri senza imitarli. Il suo nome è democrazia, perché affidiamo la città non a una oligarchia, ma a una più vasta cerchia di cittadini; ma in realtà le sue leggi danno a tutti indistintamente i medesimi diritti nella vita privata; e per quanto riguarda gli onori ognuno viene prescelto secondo la fama che gode, non per l'appartenere all'uno o all'altro partito a preferenza del valore. Né avviene che la povertà offuschi il prestigio e arresti la carriera di chi può rendere buoni servigi alla città. Senza alcuna costrizione nella vita privata, nei rapporti politici non trasgrediamo la legge soprattutto per reverenza ad essa ubbidendo ai magistrati in carica e alle diverse leggi, specialmente a quante proteggono gli offesi e a quante, senza essere scritte, recano come sanzione universale il disonore".
Le parole del grande ateniese evocano un modello di democrazia che rimane, nella sua unicità fonte di ispirazione e punto di riferimento per quanti, uomini di oggi, anelano alla realizzazione di un ideale alto e severo in cui l'ordinamento del potere sia temperato nel rispetto dei diritti dell'individuo.
Individuo e società, individuo e Stato: i diritti dell'Uomo vivono e si affermano in questo difficile equilibrio fra le esigenze superiori del-l'organizzazione statale e le esigenze insopprimibili dell'individuo.
"L'illecito dispiegamento di potere -ha scritto Ernst Junger- ci sembra cominciare là dove esso cresce smisuratamente a spese delle libertà. Sappiamo che il difendersi e l'armarsi comportano inevitabilmente delle rinunce: la libertà deve fare i conti con la necessità. Tuttavia si tratta sempre di un patto. Quando, titanicamente, si va oltre la necessità, l'uomo diviene inevitabilmente un granello di sabbia, nelle masse sterminate, mobili tate da una potenza meccanica"; e nella rottura di questo equilibrio noi riconosciamo la fine della libertà e della democrazia, la vittoria delle forze irrazionali e oscure cui si oppone da sempre la forza dello spirito e della ragione.
Non a caso nel solco di una tradizione superiore di civiltà e di tolleranza che l'Europa del XVIII secolo, l'Europe raisonnable evocata da Voltaire, ha dato per la prima volta sanzione giuridica a quei diritti umani da allora in poi riconosciuti come "inalienabili".
E' in questa stessa Europa che si riassume il sentimento di una legge superiore al potere, di custodi della legge svincolati dalla sudditanza ai forti. Quello stesso spirito è pervenuto, intatto, all'Italia repubblicana e democratica, integralmente recepito nella Costituzione di un paese che ha accettato di sottoporre i suoi stessi giudicati, una volta senza appello o rimedio nell'ordine interno, ad una giustizia superiore, quella che da Strasburgo enuncia le basi comuni di un diritto pubblico europeo che è quello dei diritti umani.
Ed è la stessa Europa, fattore di equilibrio e di moderazione in un quadro di relazione internazionali solcato da grandi mutamenti che ha indicato suggellando l'Atto finale di Helsinki, per la prima volta dopo la Dichiarazione del 1948, valori universali di libertà e di democrazia si sono incarnate in un atto politico siglato da 35, accomunati al dì là di ogni steccato ideologico.
Con l'accordo raggiunto tredici anni fa nella capitale finlandese, è stato avviato quel complesso meccanismo diplomatico e politico i cui effetti non potranno tardare a manifestarsi: nell'interesse superiore dei diritti umani, che dopo di allora costituiscono stabilmente la "quarta dimensione" della politica internazionale, la stregua valutazione della condotta dei governi, il pegno della sicurezza comune.
Mai come in questo momento le relazioni fra Stati conoscono il favore delle circostanze. In un mondo in cui tutto è destinato a mutare, incombe sulla classe politica e su ogni governo il dovere di non trascurare nessuna occasione capace di accelerare il processo della distensione e della pace.
E' da questa consapevolezza che occorre muovere per allargare gli orizzonti e rafforzare il nostro impegno per i diritti umani: nella direzione tanto faticosamente tracciata a Helsinki e perseguita fino ai nostri giorni sempre preservando lo spirito dell'Atto finale.
Cioè di quello stesso documento che reca in calce la firma di Aldo Moro, strenuo combattente per i diritti e la pace. Egli ha testimoniato per questi ideali nel modo più alto, e nella più tragica delle circostanze. Che il suo sacrificio sia di nuovo, ora e sempre, la fonte di un rinnovato impegno di tutti noi, della Repubblica, Signor Presidente, a dare alle nuove tavole internazionali dei diritti umani ed alla nostra stessa Costituzione che li afferma inviolabili, sostanza di norme e concretezza di vita collettiva comune.
La distensione non è più una speranza degli uomini, sta diventando realtà. Alla luce dell'esperienza, e quale diretta conseguenza delle necessarie misure di difesa adottate dall'Occidente al termine degli anni settanta, quando lo squilibrio delle forze nucleari era tale da aprire il varco all'avventura e alla guerra. Ristabilite le condizioni del dialogo, con uno sforzo di cui l'Europa occidentale dovrà sempre vantarsi, e nell'ambito dell'Europa occidentale l'Italia che ad esso recò, Signor Presidente, il contributo della sua determinazione e del suo coraggio.
Oggi abbiamo imboccato la via del disgelo che dischiude il cuore degli uomini alla speranza di aver vinto una volta per sempre la prospettiva dell'olocausto nucleare. Oggi ci muoviamo sulla via di una riduzione bilanciata e controllata anche delle armi convenzionali, qui in questa Europa, dove si fronteggiano eserciti che non corrispondono più alle paure e ai sospetti reciproci.
Pochi giorni fa, a Varsavia, un'Assemblea dei presidenti dei Parlamenti delle due, anzi delle tre Europe, l'Europa atlantica, l'Europa neutrale e l'Europa orientale, ha trovato accenti comuni proprio nelle rivendicazione dei diritti umani, in un paese che tante sofferenze e tante contraddizioni ha conosciuto nel suo nome. E alla loro difesa, e alla loro costante applicazione nella realtà interna desti stati si è richiamato l'incontro che io stesso ho avuto a Danzica con il responsabile del movimento di "Solidarnosc", un'opposizione che sta sempre di più entrando nel contatto reale col governo del suo paese, Lech Walesa.
Europa, questa parola misteriosa e indecifrata, torna a valere nel cuore degli uomini come simbolo di un dialogo, di una nuova tolleranza, di una nuova fraternità. Il polacco si sente europeo quanto il francese; l'ungherese quanto lo svedese. Non c'è nessuna volontà di violare i patti di Yalta, su cui riposano la pace e l'equilibrio mondiale. C'è la consapevolezza che le frontiere politiche e militari non corrispondono alle frontiere della coscienza, più vaste e più sicure delle prime. E tutti avvertono la necessità di dare ai diritti umani quell'ampiezza e quell'umanità di riconoscimenti che rendano eccezionale la loro lesione, normale il loro rispetto.
Battaglia per i diritti umani vuole dire anche battaglia contro la violenza del terrorismo e della pirateria aerea. E proprio in questo campo dobbiamo segnalare, fra i motivi di speranza di questi anni tormentosi che siamo stati chiamati a vivere, quello che è avvenuto in questi giorni fra Mosca e Tel Aviv, nell'area della lotta contro una delle forme mostruose del terrorismo moderno cioè la pirateria aerea.
Assicurando il pieno appoggio all'Unione sovietica, al di là dei rapporti diplomatici fra le due capitali (ridotte all'ombra di un vincolo consolare) Israele si è comportata secondo quelle regole del nuove patto antiterrorismo che da vari anni noi abbiamo invocato, e che per primi invocammo proprio a Gerusalemme nel gennaio 1986. Regole che presuppongono una solidarietà di tutti i governi e di tutti i regimi, al di là del sistema di alleanze e del sistema sociale.
Si tratta in ogni caso del più grande problema che si pone al termine del nostro secolo, accanto a quello della difesa dei diritti umani in tutte le terre in cui continua ad essere minacciata: realizzare un patto mondiale contro il terrorismo e contro la violenza, l'aggressione, la pirateria aerea e navale di ogni forma. Base di un nuovo diritto internazionale, di un nuovo ius gentium senza il quale la pace mondiale non sarà mai garantita.
In questo momento, la nostra lotta di tanti anni, la nostra battaglia contro il terrorismo e contro l'oppressione si riassumono in un nome, nel nome di uno dei firmatari dell'Atto finale di Helinki. Aldo Moro, strenuo combattente per i diritti e per la pace. Egli ha testimoniato per questi ideali con la vita stessa. Di fronte alla barbarie terroristica che rappresenta una delle forme di fuga dalla ragione del nostro tempo.
Che il suo sacrificio sia di nuovo, ora e sempre, la fonte del rinnovato impegno di tutti noi, Signor Presidente della Repubblica, nella lotta per la giustizia, la libertà e la fraternità: un rinnovato impegno a dare nuove tavole internazionali dei diritti umani e alla nostra stessa Costituzione che li afferma inviolabili, sostanza di norme e concretezza di vita collettiva comune.