il "caso Forlanini" Un esproprio di sovranità popolare?
LETTERA Al Presidente della Giunta Regionale
La L.I.D.U., Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo, venuta a conoscenza della chiusura dell'Ospedale 'C.Forlanini' di Roma ritiene doveroso porre alle SS.LL. in indirizzo alcuni interrogativi e considerazioni . Privare la Capitale di un grande nosocomio, che è, fin dalla sua fondazione, un centro di eccellenza medico-chirurgica non solo Italiana, ma Europea e mondiale, a fronte delle crescenti necessità di assistenza di una popolazione sempre più anziana deve far riflettere seriamente. Il fatto poi che tale ospedale sia anche un capolavoro architettonico senza eguali, ancorché da anni irresponsabilmente abbandonato al degrado, impone una considerazione ancora più approfondita.
Da anni migliaia di Cittadini si sono mobilitati per mantenere tale struttura nella disponibilità della Sanità Pubblica, ma ai loro ripetuti appelli non risulta siano state date risposte esaurienti, in particolare riguardo al destino ipotizzato della struttura stessa. Su tale destinazione di questo importante bene pubblico sono circolate peraltro voci allarmanti e non certo lusinghiere di speculazioni edilizie e commerciali sulle quali però non ci vogliamo pronunciare.
Risulta alla scrivente Associazione che in passato fu presentato dal Prof. Massimo Martelli, insigne Toracochirurgo e all'epoca commissario straordinario del detto Ente, un progetto che avrebbe consentito di mantenere alla mano pubblica il Forlanini autofinanziandone la ristrutturazione senza costi per la Regione.
Non risulta che tale progetto abbia avuto seguito, mentre il degrado proseguiva e si giungeva alla chiusura. Dell'ospedale.
Pertanto ci sembra doveroso richiamare l'attenzione delle SS.LL. In indirizzo, della cittadinanza e della stampa perché, ancorché tardivamente si apra un tavolo di consultazione che chiarisca ogni aspetto della vicenda, e consenta alla Sanità Romana nell'interesse di tutti i cittadini di mantenere, utilizzare e valorizzare questa parte importante del suo patrimonio.
LETTERA Al Presidente della Giunta Regionale
La L.I.D.U., Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo, venuta a conoscenza della chiusura dell'Ospedale 'C.Forlanini' di Roma ritiene doveroso porre alle SS.LL. in indirizzo alcuni interrogativi e considerazioni . Privare la Capitale di un grande nosocomio, che è, fin dalla sua fondazione, un centro di eccellenza medico-chirurgica non solo Italiana, ma Europea e mondiale, a fronte delle crescenti necessità di assistenza di una popolazione sempre più anziana deve far riflettere seriamente. Il fatto poi che tale ospedale sia anche un capolavoro architettonico senza eguali, ancorché da anni irresponsabilmente abbandonato al degrado, impone una considerazione ancora più approfondita.
Da anni migliaia di Cittadini si sono mobilitati per mantenere tale struttura nella disponibilità della Sanità Pubblica, ma ai loro ripetuti appelli non risulta siano state date risposte esaurienti, in particolare riguardo al destino ipotizzato della struttura stessa. Su tale destinazione di questo importante bene pubblico sono circolate peraltro voci allarmanti e non certo lusinghiere di speculazioni edilizie e commerciali sulle quali però non ci vogliamo pronunciare.
Risulta alla scrivente Associazione che in passato fu presentato dal Prof. Massimo Martelli, insigne Toracochirurgo e all'epoca commissario straordinario del detto Ente, un progetto che avrebbe consentito di mantenere alla mano pubblica il Forlanini autofinanziandone la ristrutturazione senza costi per la Regione.
Non risulta che tale progetto abbia avuto seguito, mentre il degrado proseguiva e si giungeva alla chiusura. Dell'ospedale.
Pertanto ci sembra doveroso richiamare l'attenzione delle SS.LL. In indirizzo, della cittadinanza e della stampa perché, ancorché tardivamente si apra un tavolo di consultazione che chiarisca ogni aspetto della vicenda, e consenta alla Sanità Romana nell'interesse di tutti i cittadini di mantenere, utilizzare e valorizzare questa parte importante del suo patrimonio.
riflessioni sui servizi sanitari:
1) Sanità italiana
2)"Amici dell'ospedale"
1)SANITA' ITALIANA
La sanità, ed in particolare l'ospedale, è uno dei settori in cui l'affermarsi dei diritti umani è ancora molto arretrato. Il cittadino ricoverato spesso viene di fatto privato dei suoi diritti, essendo inoltre in una oggettiva condizione di soggezione, e tale situazione, oltretutto, si riflette negativamente sui risultati delle cure: a questo scopo si è costituito un apposito comitato, in seno a quello di Roma, dedicato appunto al 'Diritto alla cura'. Si occuperà di studiare, e di proporre a tutte le istanze, dalle Direzioni Generali agli Assessorati, gli adeguamenti ed i miglioramenti necessari per una reale 'umanizzazione' delle cure, sia per quanto riguarda gli ammalati che per quanto riguarda gli operatori. Diciamo intanto che le risorse che la società dedica a queste tematiche si restringono ogni giorno di più. Non la spesa globale, che magari aumenta, ma lo studio, le modalità di erogazione, le fasce di popolazione che vi hanno accesso; il trend sembra piuttosto verso una aumento indiscriminato della spesa farmaceutica (e dei rispettivi interessi delle multinazionali del farmaco) che verso un vero perseguimento di quell'idea di salute che l'OMS-WHO definiva non solo come cura delle malattie, ma come “Condizione di pieno benessere fisico, psichico e sociale” dell'individuo e delle collettività.
In Italia la situazione è per certi versi particolare: a fronte di una medicina pubblica di buon livello scientifico e tecnologico, con risultati paragonabili a quelli dei Paesi più avanzati, sopratutto in merito agli indicatori più relati alla socialità (mortalità materno-infantile etc.) si sente forte il ritardo su tematiche che coinvolgono scelte etiche (ad esempio maternità responsabile, terapia del dolore, fine-vita, testamento biologico) in cui più forti si fanno risentire condizionamenti politici, ideologici e religiosi.
E sopratutto appare sempre più intollerabile la mancanza di una seria considerazione, sia a livello legislativo che di organizzazione, per gli aspetti che potremmo chiamare di 'umanizzazione dell'assistenza'.
Pochi anni fa uscì un libro, dal titolo suggestivo: “Dall'altra parte”. Tre illustri Clinici, due chirurghi ed un oncologo vi raccontavano la loro esperienza 'dall'altra parte' appunto, quella di pazienti affetti da patologie gravi ed invalidanti. Fece scalpore, meritò una trasmissione di Report e l'allora Ministro della Salute Livia Turco insediò una commissione ministeriale che avrebbe dovuto stendere, sulla base dell'esperienza e del contributo di quelli e di altri 'Medici-Ammalati', le linee guida per una umanizzazione dell'assistenza sanitaria in Italia. Di tale commissione non vi è più traccia, mentre l'assistenza sanitaria, sempre più ammantata di vistose e costose tecnologie, si fa sempre meno patient oriented, fredda, distaccata, diciamolo pure: disumana. In questa ottica sarebbe opportuno prendere contatto con quanto rimane della “Commissione medici ammalati”, e con le iniziative ad essa collegate.
La stessa formazione degli operatori sanitari non si è aperta a quel 'rapporto umano' che pure da secoli sappiamo essere componente essenziale di ogni successo terapeutico. Nel contempo prende sempre più piede, opportunamente insufflato da chi vi ha interesse, uno spirito di rivalsa contro una vera o supposta 'malasanità' che ha portato al crescere di una sorta di medicina difensiva, in cui non si guarda più tanto al benessere del paziente quanto a mettersi al riparo da eventuali problemi legali; questo non solo fa lievitare all'inverosimile i costi dell'assistenza e a minare alle fondamenta il rapporto Medico-Paziente, ma porta altresì ritardi ed errori producendo effetti paradossi esattamente contrari a quanto si vorrebbe.
E' stato evidenziato che quasi mai si giunge a denunzie e processi quando il rapporto dei medici e delle strutture sanitarie coi pazienti e i loro familiari è stato fin dall'inizio impostato sulla comunicazione empatica, sul calore umano, sulla spiegazione chiara. Al contrario, quando freddezza e burocratismo sono stati lo sfondo delle cure e degli atti medici si giunge spesso a cause civili e penali anche in casi di prassi scientificamente corrette e senza errori. Le frequenti assoluzioni in questi processi ne sono ampia testimonianza.
Prendiamo ad esempio il caso più classico di assistenza sanitaria: il ricovero ospedaliero. Come tutte le strutture 'totalizzanti' (la caserma, il collegio, il manicomio, il seminario e così via) l'ospedale si è sempre configurato come un mondo chiuso, a sé stante, con leggi proprie che rispondono solo ad una sua logica interna, all'interno della quale i diritti dei pazienti sono subalterni alle esigenze della struttura, e queste esigenze sono spesso la risultante di pressioni e logiche corporative e di gruppo, o di vecchie e consolidate tradizioni che raramente vengono passate al vaglio della critica per valutarne la effettiva utilità e attualità.
Così il cittadino, nel momento in cui si ricovera, viene precipitato in una condizione di oggettiva soggezione, invaso nella suaprivacy, trattato spesso col “Tu”, sottoposto ad ingiustificati e mai spiegati ritardi, a pasti mediocri, somministrati in orari incongrui, funzionali solo ai turni dei dipendenti e lontani dalle sue abitudini e dalle esigenze del comfort e della cura stessa; il tutto mentre egli è, comprensibilmente, preda del dolore, dell'incertezza, della paura. Non mi soffermo ulteriormente sul caso dell'ospedale, struttura sanitaria principe; ma lo stesso e di più si può dire dei poliambulatori, delle ASL, delle cliniche universitarie. Una burocrazia spesso fredda, indifferente se non aggressiva, inutilmente complicata e unfriendly si aggiunge al quadro, pervadendo ogni struttura ed attività sanitaria.
Insomma, si verifica la paradossale situazione in cui a costi sempre più alti si associa una customer satisfaction sempre più bassa. Già la malattia, come l'invecchiamento e la morte, sono spesso, nella nostra cultura consumistica, oscurate, esorcizzate, negate; si preferisce far finta che non esistano, che riguardino altri. E dunque la reazione abituale dei cittadini è quella di non voler pensare al funzionamento delle strutture sanitarie, sperando che non tocchi mai a loro di sperimentarle; quando poi se ne dia la necessità, allora è una frenetica rincorsa alla raccomandazione per farsi visitare o curare dal Primario, o da 'quello più bravo', per avere un trattamento 'speciale', saltare le code e comunque risolvere il proprio problema al meglio e al più presto, per poter tornare a disinteressarsi, con un sospiro di sollievo, delle strutture sanitarie e del loro funzionamento.
Senza pensare che almeno in parte è proprio da quel disinteresse che nascono o sono favoriti quei disservizi, dalla mancanza di controllo democratico sulle strutture sanitarie, dalla mancata coscienza dei propri diritti, dall'alterazione del rapporto di fiducia tra medici e pazienti.
Anche qui occorre impostare su basi nuove il rapporto tra cittadini, medici, pazienti, strutture sanitarie e politica.
Per questi motivi il gruppo di studio del Comitato Romano della LIDU si è dato il titolo di “Diritto alla Cura”. Per evidenziare che, accanto alle 'cure' che guariscono i malati, c'è sempre più bisogno di 'cura' della persona, cura dell'anima, della psiche, non solo del corpo, cura che può nascere solo da un rinnovato rispetto e considerazione del cittadino ammalato, ancora, anzi più che mai, titolare dei suoi Diritti.
La sanità, ed in particolare l'ospedale, è uno dei settori in cui l'affermarsi dei diritti umani è ancora molto arretrato. Il cittadino ricoverato spesso viene di fatto privato dei suoi diritti, essendo inoltre in una oggettiva condizione di soggezione, e tale situazione, oltretutto, si riflette negativamente sui risultati delle cure: a questo scopo si è costituito un apposito comitato, in seno a quello di Roma, dedicato appunto al 'Diritto alla cura'. Si occuperà di studiare, e di proporre a tutte le istanze, dalle Direzioni Generali agli Assessorati, gli adeguamenti ed i miglioramenti necessari per una reale 'umanizzazione' delle cure, sia per quanto riguarda gli ammalati che per quanto riguarda gli operatori. Diciamo intanto che le risorse che la società dedica a queste tematiche si restringono ogni giorno di più. Non la spesa globale, che magari aumenta, ma lo studio, le modalità di erogazione, le fasce di popolazione che vi hanno accesso; il trend sembra piuttosto verso una aumento indiscriminato della spesa farmaceutica (e dei rispettivi interessi delle multinazionali del farmaco) che verso un vero perseguimento di quell'idea di salute che l'OMS-WHO definiva non solo come cura delle malattie, ma come “Condizione di pieno benessere fisico, psichico e sociale” dell'individuo e delle collettività.
In Italia la situazione è per certi versi particolare: a fronte di una medicina pubblica di buon livello scientifico e tecnologico, con risultati paragonabili a quelli dei Paesi più avanzati, sopratutto in merito agli indicatori più relati alla socialità (mortalità materno-infantile etc.) si sente forte il ritardo su tematiche che coinvolgono scelte etiche (ad esempio maternità responsabile, terapia del dolore, fine-vita, testamento biologico) in cui più forti si fanno risentire condizionamenti politici, ideologici e religiosi.
E sopratutto appare sempre più intollerabile la mancanza di una seria considerazione, sia a livello legislativo che di organizzazione, per gli aspetti che potremmo chiamare di 'umanizzazione dell'assistenza'.
Pochi anni fa uscì un libro, dal titolo suggestivo: “Dall'altra parte”. Tre illustri Clinici, due chirurghi ed un oncologo vi raccontavano la loro esperienza 'dall'altra parte' appunto, quella di pazienti affetti da patologie gravi ed invalidanti. Fece scalpore, meritò una trasmissione di Report e l'allora Ministro della Salute Livia Turco insediò una commissione ministeriale che avrebbe dovuto stendere, sulla base dell'esperienza e del contributo di quelli e di altri 'Medici-Ammalati', le linee guida per una umanizzazione dell'assistenza sanitaria in Italia. Di tale commissione non vi è più traccia, mentre l'assistenza sanitaria, sempre più ammantata di vistose e costose tecnologie, si fa sempre meno patient oriented, fredda, distaccata, diciamolo pure: disumana. In questa ottica sarebbe opportuno prendere contatto con quanto rimane della “Commissione medici ammalati”, e con le iniziative ad essa collegate.
La stessa formazione degli operatori sanitari non si è aperta a quel 'rapporto umano' che pure da secoli sappiamo essere componente essenziale di ogni successo terapeutico. Nel contempo prende sempre più piede, opportunamente insufflato da chi vi ha interesse, uno spirito di rivalsa contro una vera o supposta 'malasanità' che ha portato al crescere di una sorta di medicina difensiva, in cui non si guarda più tanto al benessere del paziente quanto a mettersi al riparo da eventuali problemi legali; questo non solo fa lievitare all'inverosimile i costi dell'assistenza e a minare alle fondamenta il rapporto Medico-Paziente, ma porta altresì ritardi ed errori producendo effetti paradossi esattamente contrari a quanto si vorrebbe.
E' stato evidenziato che quasi mai si giunge a denunzie e processi quando il rapporto dei medici e delle strutture sanitarie coi pazienti e i loro familiari è stato fin dall'inizio impostato sulla comunicazione empatica, sul calore umano, sulla spiegazione chiara. Al contrario, quando freddezza e burocratismo sono stati lo sfondo delle cure e degli atti medici si giunge spesso a cause civili e penali anche in casi di prassi scientificamente corrette e senza errori. Le frequenti assoluzioni in questi processi ne sono ampia testimonianza.
Prendiamo ad esempio il caso più classico di assistenza sanitaria: il ricovero ospedaliero. Come tutte le strutture 'totalizzanti' (la caserma, il collegio, il manicomio, il seminario e così via) l'ospedale si è sempre configurato come un mondo chiuso, a sé stante, con leggi proprie che rispondono solo ad una sua logica interna, all'interno della quale i diritti dei pazienti sono subalterni alle esigenze della struttura, e queste esigenze sono spesso la risultante di pressioni e logiche corporative e di gruppo, o di vecchie e consolidate tradizioni che raramente vengono passate al vaglio della critica per valutarne la effettiva utilità e attualità.
Così il cittadino, nel momento in cui si ricovera, viene precipitato in una condizione di oggettiva soggezione, invaso nella suaprivacy, trattato spesso col “Tu”, sottoposto ad ingiustificati e mai spiegati ritardi, a pasti mediocri, somministrati in orari incongrui, funzionali solo ai turni dei dipendenti e lontani dalle sue abitudini e dalle esigenze del comfort e della cura stessa; il tutto mentre egli è, comprensibilmente, preda del dolore, dell'incertezza, della paura. Non mi soffermo ulteriormente sul caso dell'ospedale, struttura sanitaria principe; ma lo stesso e di più si può dire dei poliambulatori, delle ASL, delle cliniche universitarie. Una burocrazia spesso fredda, indifferente se non aggressiva, inutilmente complicata e unfriendly si aggiunge al quadro, pervadendo ogni struttura ed attività sanitaria.
Insomma, si verifica la paradossale situazione in cui a costi sempre più alti si associa una customer satisfaction sempre più bassa. Già la malattia, come l'invecchiamento e la morte, sono spesso, nella nostra cultura consumistica, oscurate, esorcizzate, negate; si preferisce far finta che non esistano, che riguardino altri. E dunque la reazione abituale dei cittadini è quella di non voler pensare al funzionamento delle strutture sanitarie, sperando che non tocchi mai a loro di sperimentarle; quando poi se ne dia la necessità, allora è una frenetica rincorsa alla raccomandazione per farsi visitare o curare dal Primario, o da 'quello più bravo', per avere un trattamento 'speciale', saltare le code e comunque risolvere il proprio problema al meglio e al più presto, per poter tornare a disinteressarsi, con un sospiro di sollievo, delle strutture sanitarie e del loro funzionamento.
Senza pensare che almeno in parte è proprio da quel disinteresse che nascono o sono favoriti quei disservizi, dalla mancanza di controllo democratico sulle strutture sanitarie, dalla mancata coscienza dei propri diritti, dall'alterazione del rapporto di fiducia tra medici e pazienti.
Anche qui occorre impostare su basi nuove il rapporto tra cittadini, medici, pazienti, strutture sanitarie e politica.
Per questi motivi il gruppo di studio del Comitato Romano della LIDU si è dato il titolo di “Diritto alla Cura”. Per evidenziare che, accanto alle 'cure' che guariscono i malati, c'è sempre più bisogno di 'cura' della persona, cura dell'anima, della psiche, non solo del corpo, cura che può nascere solo da un rinnovato rispetto e considerazione del cittadino ammalato, ancora, anzi più che mai, titolare dei suoi Diritti.
2) AMICI DELL’OSPEDALE
La sanità pubblica, e l'Ospedale in particolare, sembra avere solo dei nemici; nemici che la attaccano dall'esterno, per motivi di concorrenza, di schieramento politico ed altro, e nemici che la minano dall'interno per inefficienza, interesse, incuria, per motivi economici spesso inconfessabili, ma ben noti a tutti quelli che dal lavoro in Ospedale traggono motivo di esistenza economica e professionale.
La saldatura tra queste componenti é oggettiva e trasversale, ed il danno causato da questi fattori non si ripercuote solo sul "Malato" nel momento in cui usufruisce di servizi scadenti, lunghe attese, orari improponibili, scarso rispetto per la propria persona e per i propri diritti e così via, ma su tutta la società e l'economia del Paese, nonché, fatto di solito più trascurato nelle analisi, sugli stessi Operatori (Medici, Infermieri etc.), sulla loro professionalità , sulla loro retribuzione, sul loro ruolo sociale: in definitiva sminuendo la loro condizione economica, le soddisfazioni professionali, creando quelle "Burn-Out Syndrome" che sempre più spesso possiamo verificare.
Finora, a parte interventi sporadici e calati dall'alto, episodici e senza possibilità di incidere sulla realtà Ospedaliera, abbiamo assistito solo alla avanzata dei "Nemici" dell'Ospedale e della Sanità pubblica, registrando per contro la scarsa o nulla resistenza da parte di quelli che dovremmo ipotizzare come gli "Amici" di tali strutture.
"Amici" della Sanità pubblica, e dell'Ospedale in particolare, dovrebbero essere innanzitutto i cittadini (non solo i "malati", ma tutti i cittadini) che dell'Ospedale usufruiscono in caso di malattia, ma che sopratutto l'Ospedale creano e mantengono con il versamento di tasse, contributi, trattenute in quantità notevole e capace di fornire ben altri standards di efficienza e di comfort.
Ed "Amici" dovrebbero essere anche tutti coloro i quali nell'Ospedale esercitano tutta o la maggior parte della loro attività professionale, e da questo traggono in tutto o in maggior parte i loro emolumenti: Medici, Tecnici, Capo-Sala, Infermieri e così via.
Anche qui uno schieramento trasversale ed “oggettivo", nel senso che lo schieramento non é determinato da scelte ideologiche ma da oggettivi, anche se non sempre consapevoli ed espressi, interessi e necessità .
In un periodo di privatizzazioni anche "selvagge", in cui si parla con insistenza di privatizzazione della Sanità é opportuno che si facciano alcune considerazioni:
1) quando qualcosa di pubblico non funziona non é detto che la sola strada da seguire sia quella di privatizzarlo: forse si può cercare di farlo funzionare (e quale sarebbe il privato che acquisterebbe qualcosa che non può funzionare ?).
2) al di là di chi sia ad averne la responsabilità gestionale, Pubblico o Privato, che la Sanità , e l'Ospedale in particolare funzioni é precipuo interesse di chi ne usufruisce e ne paga i costi (tutti i Cittadini) e di chi in tale settore vive e lavora (Medici , Infermieri etc.).
3) se certi disegni di privatizzazione delirante o di sganciamento facoltativo dalle contribuzioni sanitarie andassero in porto, la caduta degli stanziamenti ed il modificarsi della composizione sociale dell'utenza rischierebbero di ricreare l'Ospedale dei poveri, riportandoci indietro di cent'anni.
4) é invece indubitabile che qualunque stanziamento di fondi in campo Sanitario (ed in ogni altro campo!) deve produrre i migliori risultati possibili nel minor tempo possibile per il maggior numero di cittadini possibile.
5) coloro che operano negli Ospedali, in particolare nella nostra città , Medici, paramedici, tecnici etc. possono dividersi in due principali categorie: quelli che dedicano al lavoro tempo, dedizione, perizia e professionalità , e sono frustrati ed ostacolati nella loro attività da corruzioni ed incompetenze che tutti conosciamo; costoro sono certamente la maggiore (e migliore) parte degli operatori. Altri, che traggono da inefficienza e corruzione vantaggi, giustificazioni e coperture, la minore e la peggiore.
Non può esistere un fronte unito tra queste due categorie, trasversali, di Ospedalieri: nei fatti i loro interessi sono oggettivamente antagonistici, mentre esistono oggettivi e concreti interessi che uniscono la prima categoria con i contribuenti e sopratutto con gli utenti, e la seconda con corrotti, cialtroni ed affaristi di ogni risma che hanno ridotto la Sanità (e lo Stato!) nelle attuali, lagrimevoli condizioni.
Noi intendiamo coagulare in una associazione di cittadini onesti ed interessati alla buona gestione della cosa pubblica, in particolare della Sanità e degli Ospedali quanti, dentro e fuori delle mura dell'Ospedale sono disponibili a favorire, col loro impegno , le loro proposte e se necessario con la denuncia e la lotta il buon funzionamento, la buona amministrazione, la efficienza e l'economicità della sanità pubblica e dell'Ospedale in particolare.
I contribuenti degli altri Paesi Europei, versando quote analoghe alle nostre di contributi sanitari usufruiscono di tutt'altri servizi; anche da noi é ora che i cittadini imparino a controllare come si spende il loro denaro, e a chiederne conto.
Ed in questa fattispecie han diritto che chi nella Sanità vive ed opera, possedendo le qualifiche e le competenze necessarie sia al loro fianco in questa azione, non per astratto spirito di solidarietà o giustizia (ma c'é anche questo!), ma per oggettiva, reale coincidenza di interessi.
Un Ospedale che "funzioni bene", in cui le tecniche siano costantemente aggiornate, i medici ed il personale siano preparati ed efficienti, contenti del loro lavoro, le apparecchiature moderne ed utilizzate al massimo, l'ambiente confortevole e discreto, in una parola un Ospedale moderno, é un obiettivo comune per chi lo paga, chi lo utilizza, chi vi svolge la propria attività .
E se in passato ci sono state connivenze o acquiescenze o indebite solidarietà o corporativismi inaccettabili che hanno permesso il degrado che oggi vediamo, é tempo che tutto ciò abbia termine. Da una parte cittadini, utenti attuali o potenziali delle strutture, e medici, tecnici, amministratori capaci, meritevoli ed interessati al buon funzionamento dell'ospedale e alla qualità del lavoro che vi svolgono; dall'altra incapaci, corrotti e cialtroni di qualunque categoria, dentro e fuori dall'ospedale, che hanno determinato, mantenuto e difeso lo status-quo per motivi tanto ignobili quanto evidenti.
* * *
Da queste considerazioni partiamo per evidenziare l'utilità , la necessità ed anche l'urgenza che le forze sane ed oneste, dentro e fuori dall'Ospedale, trovino un punto di collegamento per una azione comune che stimoli il cambiamento, favorisca la trasparenza e determini un migliore funzionamento dell'Ospedale pubblico, insostituibile presidio della salute, in cui la gente giustamente continua a credere pur subendone le storture, le deviazioni, le inefficienze.
Per questi motivi riteniamo che chi é "Amico" dell'Ospedale, quelli che hanno oggettivi interessi al suo buon funzionamento, coloro che in esso spendono una vita di lavoro spesso frustrata dagli stessi fattori che impoveriscono e "maltrattano" il cittadino-paziente, possano e debbano insieme, con gli strumenti della democrazia e della comunicazione, con la forza del diritto lottare contro quel "diritto della forza" che ha agito e continua ad agire nel nostro Paese.
Con la "Associazione Amici dell'Ospedale" intendiamo creare lo strumento che consenta di aggregare queste forze, e di agire sul piano dell'informazione, della conoscenza, della indicazione e, se necessario, della denuncia e della lotta per identificare e rimuovere le cause di malfunzionamento, di dilatazione perversa della spesa, di disumanità e di autoritarismo nell'Ospedale.
Intendiamo che le decisioni che coinvolgono operatori e Cittadini vengano assunte con metodo democratico e partecipativo, con la maggiore trasparenza degli atti relativi ed in una linea di progresso, efficienza, umanità e partecipazione.
L'Ospedale deve poter trarre dalla esperienza e dalla professionalità di chi in esso vive e lavora le indicazioni per un migliore funzionamento; dalla vigile partecipazione di chi lo finanzia ed usufruisce dei suoi servizi una richiesta qualificata che individuando i nodi di incongruenza collabori a risolverli.
L'unità di intenti e di interessi tra Cittadini ed Operatori deve superare gli ostacoli che chiunque, politico, amministratore o tecnico, dovesse frapporre al raggiungimento di questi obiettivi.